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ad avere le figure più strane che si possano immaginare, parlavano tutti in modo da far ridere anche i santi. Fra gli altri c’erano tre lavoranti d’una vicina calzoleria, un nano che sembrava un bimbo di sei anni, ma dal viso d’uomo malizioso, un ex-frate pallido in viso e coi capelli rossi, e un vecchio altissimo dalla piccola testa rassomigliante a quella d’una lepre, che facevano continui progetti di viaggio, proponendosi di andare nelle «grandi città» per esporre il nano come un «fenomeno vivente». E già si beffavano della gente che sarebbe accorsa a vederlo. Ma il tipo più interessante della compagnia era un vecchio paesano dalla faccia quasi nera circondata di lunghi capelli candidi e da un collare di barba bianchissima. Da giovane egli era stato quindici anni in carcere, e tutti lo sapevano, ma egli diceva che durante quella sua prolungata assenza dal paese era stato alla guerra, con Vittorio e con Garibaldi, e raccontava le sue vicende in modo così arguto e suggestivo che molti lo ammiravano come un eroe autentico.
— Andiamo, Luca, se no ti chiudo fuori, — disse Paska dopo un minuto d’attesa.
— Tu! Proprio tu? — egli rispose assumendo il tono beffardo degli altri giovinastri che già deridevano la serva.
— Luca, non si parla così alla propria balia! — disse l’ex-frate.