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mezzanotte si assopì; ma confuse visioni l’agitarono, finché il rumore d’una carrozza che fece tremare i vetri della finestra verso strada non la svegliò di nuovo. Il rumore cessò all’improvviso e la voce di Francesco vibrò nel silenzio notturno:

— Gavina? Gavina?

Pareva che egli avesse paura di non ricever risposta. Appena Paska aprì, egli si slanciò su per la scala, e vedendo luce nella camera dei malati entrò e si curvò su Gavina ansando spaventato, con gli occhi insolitamente foschi e le mani tremanti.

— Ma che hai, Gavina, che è stato? Perché stai qui? E tua madre? E Luca? Chi è venuto qui, oggi?

Gavina s’accorse che egli, sebbene il telegramma annunziasse una semplice indisposizione, aveva intuito la verità.

— Sono ferita, — disse sottovoce.

— È stato Luca?

— No: «lei».

D’un gesto egli sollevò la coperta, slegò la fasciatura, tolse l’ovatta e la garza sanguinanti come brani di carne, e si curvò per esaminare la ferita. Quando si sollevò l’espressione del suo viso era mutata ed i suoi lineamenti s’erano irrigiditi. Esaminò le pupille di Gavina con uno sguardo freddo, e le disse quasi con durezza:

— Bisogna mettere dei punti, subito.