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pianta, e ricordò le sere melanconiche della sua fanciullezza, quando si martoriava lo spirito con voluttà crudele e pregava Dio di farla soffrire; e il suo ultimo colloquio con Priamo, la profezia dell’infelice, i sogni di vita che egli faceva per lei guardando la città risplendente di lumi.

E mille altri ricordi le passarono in mente, allacciati gli uni agli altri come gli anelli di una stessa catena: ma invece di irritarla, come altre volte, questa evocazione le dava un senso di dolcezza sonnolenta, un languore di sogno. Le sembrava di essere distesa sopra un terreno duro, in un luogo deserto; vedeva la luna salire sul cielo d’un azzurro violaceo, sentiva come un passo lontano di cavallo, in una strada solitaria; e come un soldato ferito, abbandonato in un campo, dopo la battaglia alla quale è stato condotto contro la sua volontà, ella non si domandava perchè era là, sola, ferita, e non provava alcun rancore contro i suoi nemici, ma aspettava che qualcuno venisse ad ajutarla ed a curarla.

Ancora una volta il suo medico ed il suo salvatore non poteva essere che Francesco. Quel passo lontano era il passo del suo cavallo; egli viaggiava nella sera vaporosa, scendeva la montagna, attraversava l’altipiano, andava verso di lei come il compagno d’armi va verso il compagno in pericolo.

— Ed io che forò, che farò per lui? — ella