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Lo ore passarono. La zia Itria rimase fin verso sera presso il letto della nipote, commentando con calma il tragico fatto. Ella aveva assistito a più d’un epilogo di dramma, e le ferite, il sangue, i gemiti, i misteri dell’odio e le miserie delle passioni umane, non la spaventavano: non le destava quindi meraviglia che anche a Gavina, ricca e distinta persona, capitasse un’avventura di quel genere.

La sua calma finì di suggestionare anche Paska, e nella casa regnò un silenzio grave, una pace apparente, come se nulla fosse accaduto.

Gavina, immobile, supina ma col viso rivolto alla finestra, vedeva l’elce, le montagne, il cielo che si coloriva di viola; e il pensiero del dolore che avrebbe provato Francesco, s'ella fosse morta e in modo così tragico, vinceva ogni altra sua inquietudine. In fondo però provava un vago senso di orgoglio all’idea che finalmente poteva dimostrare a suo marito tutto il suo coraggio e la sua generosità; e a poco a poco al terrore e all’angoscia della morte sentì succedere un sentimento che le era ignoto: la gioia di vivere. Viva! Viva! Ella era viva! Lo stesso dolore della ferita le riusciva quasi gradevole perchè era un segno di vita.

Verso il crepuscolo, ricordandosi che Luca doveva ritornare dalla vigna, pregò la zia Itria e Paska di andarsene e di tacere. Per qualche tempo rimase sola: vide la luna apparire sopra l’elce, come una fiamma che sgorgasse dalla