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la bimba davanti a sè, Gavina si ritirava, strisciando con le spalle lungo la parete.
A un tratto Michela parve inciampare, cadde in ginocchio e le sfiorò una gamba come cercando di appoggiarvisi; allora Gavina, dopo aver abbandonato la bimba che cadde fra le braccia della madre, si slanciò nell’altra camera, aprì l’uscio, fu nella scaletta; e alla viva luce che illuminava il cortile si accorse che aveva le vesti macchiate di sangue.
Si curvò, si rialzò, due volte, come facendo due inchini; sollevò le sottane e vide il sangue d’un rosso vivo sgorgare un po’ al di sopra del suo ginocchio sinistro e cadere come un rivoletto fino alla sua scarpetta chiara arrossandola tutta. Allora provò di nuovo un terrore folle; la paura di cadere, di essere raggiunta e ferita ancora; non pensò più a nessuno, non sentì che l’istinto di salvarsi, il desiderio di vivere; e si rimise a correre.
Il suo sangue bagnò le pietre della strada dei poveri.
*
Il nano, che stava ancora nel cortiletto della zia Itria, la vide passare di corsa nella piazzetta, e si slanciò fuori; ma ella era già davanti alla sua porta e batteva con violenza