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gico. Gavina avrebbe voluto andarsene, ma non poteva; gli occhi di Michela, d’un verde livido, come quello del mare quando si avvicina la tempesta, diventavano sempre più strani, e quasi la suggestionavano, tenendola ferma al suo posto con uno sguardo simile a quello di un avversario in duello. Del resto, ella capiva anche ciò che l’infelice non riusciva a dirle: quante volte ella non s’era fatta gli stessi rimproveri?

— Tu sei malata, non morta.... — mormorò come fra sè. — Se tu volessi potresti guarire.... Ma oggi non è possibile ragionare con te; un altro giorno.... forse.... forse.... Ne riparleremo e vedrai che non ho torto....

— Non vuoi rimanere? — domandò Michela dimenticandosi che poco prima le aveva detto di andarsene. — Aspetta; resta un altro momento. Giacché sei qui.... ed hai tante buone intenzioni.... vorrei farti una domanda....

Esitò, abbassò gli occhi, poi domandò sottovoce!

— È vero che «egli» ti scrisse, prima di morire?

— Sì.

— È vero che Francesco depose questa lettera dal giudice?

— È vero.

— Egli non parlava di me?

— No.

Seguì un momento di silenzio cupo; indi Mi-