Pagina:Sino al confine.djvu/315


— 309 —

la fissavano con uno sguardo di belva sorpresa nel suo nascondiglio, le pareva una sconosciuta che si rassomigliasse vagamente alla sua antica amica. E capì che era pericoloso avvicinarsi all’infelice, ma non retrocesse. Porse una mano che Michela non prese, e disse con voce turbata:

— Come stai? Credevo che zia Itria fosse qui.... Come sta la bambina?

Michela non rispose, ma si ritrasse; ed ella entrò. La stanzetta era la stessa che aveva ospitato Francesco studente: dalle pareti tinte di calce pendevano sette quadretti sormontati da altrettante croci che rappresentavano la morte e passione di Nostro Signore Gesù Cristo; sul lettuccio di legno coperto da un drappo giallo dormiva un gattino attortigliato come un cercine di velluto nero.

Gavina sedette accanto alla finestruola socchiusa. Attraverso l’uscio spalancato della camera attigua vedeva, nella penombra, un gran letto bianco e fra questo e la parete una culla di legno, bassa e rozza e come scavata in un tronco d’albero, e le sembrava di sentire il respiro affannoso della bambina. Un caldo afoso regnava nella stanzetta, come se la montagna, cinerea sotto il cielo di un azzurro violaceo, mandasse fin là dentro il calore delle sue roccie bruciate dal tramonto di fuoco.

— La tua bambina dunque sta meglio? —