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gione Paska, ella non apparteneva più a quel mondo di miserie e d’odio, ove il passato le risorgeva davanti ad ogni passo come un nemico che tentasse di soffocarla.

Ma ripassando davanti alla casa di Michela credette di sentire il pianto lamentoso della bimba e la sua ira svanì. Rientrata a casa si ritirò nella sua camera e aspettò Luca, che quella notte tardava a rientrare. Finalmente lo sentì che apriva la porta e saliva le scale inciampando come un vecchio. «È ubbriaco» — ella pensò: eppure quel passo incerto e pesante le destò un senso d’infinita pietà. Prese il lume e uscì nel pianerottolo, e mentre Luca si fermava sul penultimo scalino e la guardava coi suoi grandi occhi sporgenti spaventati, gli disse con voce tranquilla:

— Devo parlarti. Apri.

Luca teneva sempre con sè la chiave della sua camera: aprì ed entrò, esitando, ed ella lo seguì e depose il lume sul tavolo ingombro di strani oggetti: libri di magìa e di pirotecnia, gomitoli di spago di tutti i colori, uccellini imbalsamati, piatti con liquidi misteriosi, piccole pelli di cinghialetti e di faine, forbici, coltelli, scatole di chiodi. Le finestre erano chiuse; un caldo soffocante e un odore d’alcool impuro rendevano irrespirabile l’aria guasta della camera, e come un velo di cenere copriva gli oggetti disparati che la ingombravano. Ai piedi del lettuccio coperto da un sem-