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alcunchè di sacro. Il silenzio del pomeriggio veniva interrotto solo dal fruscio degli alberi e dal rumore monotono e meccanico dei tagliapietre che lavoravano al di là dell’orto. Poi il sole cadeva e tutto il paesaggio diventava d’un rosso violetto; il vento taceva, la luna sorgeva come una fiamma solitaria fra due roccie della montagna. Poi lunghe file di stelle, archi di pianeti piccoli come lumi lontani, tremolavano sul cielo d’un azzurro verdastro. Si scorgeva l’incendio lontano delle brughiere, e pareva che le fiamme scaturissero dalle roccie, e la loro luce rossastra arrivava alle creste calcaree che si tingevano d’un rosa cupo, simili a enormi brage fra la nebbia.
Dalla sua finestra Gavina scorgeva particolari che prima le erano sfuggiti; vedeva, dietro le casette del vicinato dei poveri, sullo sfondo azzurro dei monti lontani, una roccia sporgente sulla valle, e un albero fantastico, aggrappato alla roccia come un sognatore chino ad ascoltare le voci del paesaggio notturno. Udiva il mormorio lontano del torrente, e sullo sfondo monotono di questa nota eguale il picchio del tagliapietre che lavorava ancora al chiaror di luna le sembrava il lamento del granito percosso.
Allora provava un sentimento di pietà per le cose stesse: le pareva che le roccie spaccate dovessero soffrire come soffrono gli uomini percossi dal dolore; e che l’elce fosse me-