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Più tardi, affacciata alla finestra, mentre aspettava il ritorno di Francesco, Gavina ripensava alla visita dei canonici e sentiva la sua ira svanire come era svanita quella di suo zio.

Il nome del morto non era stato pronunziato, come se i duo canonici se ne fossero completamente scordati. Egli era passato attraverso la loro vita come l’ombra di una nuvola sopra l’erba di un prato. I ricordi del canonico Felix, così placidi e varii, non si fermavano su cose tristi: e pareva che davanti al canonico Bellìa l’ombra fosse passata mentre egli teneva le palpebre abbassate!

Ma quel che più meravigliava Gavina era il sentirsi anche lei sempre più lontana dai suoi ricordi.

A un tratto però, nel silenzio del crepuscolo verdognolo, un rumore come di pioggia scrosciante risuonò in fondo alla strada: un gruppo d’uomini a cavallo s’avanzò, si fermò un minuto davanti al cancello delle aquile, poi si allontanò, sparì. Erano i cacciatori che tornavano dalla prima caccia grossa. Davanti al cancello rimase, chiara nella penombra, solo la figura di Elia sul suo stallone bianco.

Gavina guardava e provava una lieve emozione: un’eco di ricordi lontani risuonava entro di lei come il trotto dei cavalli nella strada solitaria, e quell’uomo che aveva vissuto e goduto, che passava ancora sotto le finestre