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picchiare alla porta della signora Zoseppa si fermò davanti alla finestra della stanza da pranzo, guardandovi dentro con curiosità come usavano i bambini della strada.

Gavina lo vide ed andò ad aprirgli la porta, sorridendogli appunto come ad un bambino. Questa accoglienza finì di turbarlo: egli cadde in ginocchio e giunse le manine; piccole mani, magre e nodose, che rivelavano l’età matura dell’omettino.

— Sono stato io.... sì, ieri notte.... sono stato io. Le domando perdono....

— Ma che cosa hai fatto? Che c’è? Alzati.

— Io.... io, sì, quel rumore....

— Ebbene? Cos’era quel rumore?

— Quel rumore.... come, non l’ha sentito?

— Io non ho sentito niente!

— Gli altri han detto che io l’ho fatto per burlarmi di lei! Mi hanno imposto di venire a domandarle scusa in ginocchio: altrimenti non mi accettano più in loro compagnia! Ed hanno ragione. Sono un maleducato, io! Non debbo permettermi di scherzare, io! Io, proprio io! Io che sono uno scherzo di natura!...

Egli piangeva. Gavina si chinò, gli prese le manine, lo costrinse ad alzarsi.

— Ma se non mi sono accorta di nulla! Alzati, finiscila, non piangere: ora ti darò da bere.

Il nano si asciugò gli occhi con la manica della camicia e stette alcuni momenti col viso nascosto sul braccio.