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che ricadeva su chi interrogava e non su chi era interrogato. Com’era Roma? Grande? Com’erano lo case? Com’era la casa del Re? Rassomigliava alla casa di Gattulinu? (Grandi risate, anche da parte degli uomini rimasti sdrajati per terra. La casa di Gattulinu era la più misera del vicinato). E le strade? Come quel vicolo? E il Papa com’era? Mangiava pane d’orzo? C’erano pere selvatiche a Roma? E la Regina andava a mietere?

Poi cominciarono domande più intime:

— Come ha fatto ad ingrassare così, signora Gavina? Si vede che ha pane a sufficienza. Perchè non pensa a far dei figli? Se non ha mezzi per allevarli, ebbene, li mandi a casa nostra!

Gavina rispondeva, senza offendersi, ma anche senza divertirsi; l’umorismo di quella gente, che conosceva la propria miseria e l’accettava come un’ironia della sorte, era più contristante di qualsiasi lamento.

Dalla porticina aperta sull’alto della scaletta usciva un pianto rabbioso e disperato di bambino, ma nessuno tranne che lei ci badava. A che serviva? Francesco riapparve sul ballatoio senza balaustrata, e mentre la donna, alle sue spalle, faceva luce con un lanternino, egli si curvò come sull’orlo di un abisso, e gridò:

— Ohè, donne! Badate che questi bimbi hanno la tonsillite acuta. Badate di tenere gli altri bimbi lontani.