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nuosa e carnosa nello stesso tempo. I capelli neri e lucidi, tagliati a frangia, gli descrivevano come un cerchio nero intorno alla fronte. Con le braccia incrociate sul petto scarno, le mani sotto le ascelle, egli si dondolava di continuo e pareva invaso da una irrequietudine nervosa; e le sue larghe palpebre, dalle lunghe ciglia, si abbassavano e si sollevavano continuamente. Gavina lo guardava, ma sebbene presa anche lei da una vaga inquietudine, restava immobile al suo posto, col capo sollevato fieramente.
L’impresario raccontò anche lui la sua storiella, non molto antica, ma non tanto recente da interessare i due ragazzi, e nella quale si parlava di un bandito che una volta aveva fermato il signor Sulis nel bel mezzo di una foresta.
— Avevo in tasca trentamila lire. L’incontro, quindi, non mi rendeva troppo felice, ma l’uomo, con mia grande meraviglia, mi disse garbatamente: «Signor Sulis, compare bello, ce l’avete la piccola comare? Vorrei darle un bacio!» — «Bene tu abbi, fratello mio, eccoti la piccola comare: baciala pure finché vuoi!»
E tutti risero. La «piccola comare» era la zucca piena di vino che l’impresario portava sempre con sè nei suoi viaggi. Visto il successo della sua storiella, egli aggiunse, appoggiando i pugni al sofà per alzarsi!
— Oh, a proposito, si potrebbe ancheanda-