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vanti alla casa della zia Itria videro la vecchia obesa seduta sulla panchina di pietra e si fermarono.

— Voi state bene? Verrò presto a trovarvi, — le disse Gavina carezzandole il viso gonfio.

La vecchia s’alzò, sbalordita se non commossa, e disse francamente che trovava sua nipote molto cambiata.

— In bene, vero? — domandò Francesco, accarezzando le spalle di Gavina.

— In bene, — affermò la zia Itria.

Attraversato il rione dei poveri i due sposi scesero per lo stradale, e Gavina si volse a guardare la casa di Michela, la finestra dove per la prima volta le era apparso il viso scuro di Francesco. Quanti ricordi! Risorgevano ad ogni passo, continuavano lungo lo stradale, di qua e di là, come pietre miliari.

Calava la sera, una sera già autunnale, e grandi nuvole biancastre, dorate dalla luna, coprivano quasi tutto il cielo, immobili sullo sfondo azzurro. La montagna era scura d’ombra, ma a destra e a sinistra, nella valle, si scorgevano grandi estensioni di paesaggio vivamente illuminate dalla luna. Le macchie verdastre e le ombre nere delle roccie si delineavano nitidamente sul terreno giallognolo; i campi di stoppia, in lontananza, avevano come un riflesso d’acqua, e tutto il paesaggio, dai monti lontani coperti di vapori argentei, fino al profilo nero della piccola città disegnato sulle