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continuava a domandarsi fino a qual punto Paska avesse ragione, e quali sentimenti spingevano Michela. I fantasmi del passato risorgevano intorno a lei in quella camera vasta e nuda. Ella si coricò, ma non spense il lume: il soffitto, basso, ineguale, tinto d’un grigio azzurrognolo, ricordava il colore delle nuvole d’autunno; sul canterano il vecchio orologio segnava sempre la stessa ora, e le mosche iridate non si erano mai mosse dalle piccole rose del giardinetto di cristallo. Quando Francesco rientrò, a Gavina parve strano veder un uomo nella sua camera di fanciulla.
— Siamo andati con Luca da un uomo dell’Ogliastra che ha del vino forte! — egli disse con voce velata. — Troppo forte! Mi sono quasi preso una piccola sbornia. Andava bene, per scacciare la stanchezza del viaggio.
— Bravo! Ora non ti resta che seguire l’esempio di Luca! Ma che fai, adesso?
Dopo aver girovagato scalzo per la camera egli apriva la finestra.
— La luna è tramontata, Gavina. Ti ricordi la notte che io venni a visitare Luca? Povero diavolo! Sai che vuol prender moglie?
— Michela?
— No: la figlia dell’Ogliastrino!
— Quello del vino forte? L’hai veduta.
— Io no! Sta al suo paese. Non la conosce neppure Luca, ma ne ha sentito parlare e vuol farle fare la parte di Melisenda!