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cuni momenti. Gavina spiava dietro l’uscio socchiuso, e non osava entrare, ma vedeva il volto serafico, pallido e mite, del canonico Felix, e sentiva che egli, dopo qualche esitanza faceva il suo solito scherzo.

— Quest’oggi in chiesa non si vedeva neppure una signora con la pelliccia!

Trovato l’argomento si cominciò subito a parlare del caldo, ma evidentemente la conversazione non interessava molto il seminarista, perchè egli guardava di qua e di là, movendo la testa e spalancando e socchiudendo i grandi occhi neri un po’ torbidi. La Venere e i libri attiravano specialmente il suo sguardo irrequieto. Ma quando Gavina entrò, portando il caffè, quello sguardo un po’ vago s’illuminò, diventò fisso, non si staccò quasi più dal viso della fanciulla.

Il canonico Felix, che era nato in un villaggio sulle montagne, raccontava con la sua voce soave e lenta un’avventura accadutagli quarant’anni prima. La storiella doveva essere molto originale, perchè i Sulis ascoltavano con grande attenzione e ridevano; solo Gavina e il seminarista giudicavano la storiella forse troppo vecchia per loro, perchè, se si degnavano di ascoltare, non ridevano troppo e non ridevano a tempo.

Visto il profilo di Priamo sembrava un San Luigi, pallido, d’un pallore quasi azzurrognolo, col naso dalla linea purissima, la boccasi-