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zio Sorighe viveva in ansietà. Al minimo rumor di passi fuggiva fra le roccie come un vecchio cervo, e non s’inquietava troppo per l’assurda accusa, del resto non ancora ben precisata, che lo colpiva, ma aveva paura di morire in carcere, se lo arrestavano. Di notte, mentre stava sdraiato col pastore accanto al fuoco, nella capanna che il vento scuoteva come un ramo, egli recitava i suoi versi o raccontava le sue avventure, e specialmente quella della vedova.

— Non era una bella donna, ma era molto furba! Mi piaceva per la sua astuzia. Senza quell’indiavolata della figlia, che è stata la mia mala fata, a quest’ora io starei coricato in un bel letto, come un vescovo, e a nessuno verrebbe in mente l’idea che io abbia ammazzato un prete!

Il ricordo di Priamo lo addolorava, ed era convinto che con un po’ di buona volontà avrebbe potuto salvare il disgraziato.

Una sera il pastore vide, o credette di vedere due carabinieri in perlustrazione; e al solito zio Sorighe fuggì e s’arrampicò fino alla cima del monte. La notte era chiara e gelida; soffiava un vento furioso e pareva che persino le stelle tremassero dal freddo. A un tratto il vecchio, dopo la salita, fu colto dal suo male; allora si gettò a terra, chiuse gli occhi e sentì che moriva.

Gli sembrò che il rombo del vento che gli