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rati che avevano preso il colore delle foglie secche, le tovaglie così gialle che parevano tinte con lo zafferano, i drappi di lana striati di giallo e di nero come pelli di zebre e che servivano da tappeti nei giorni di festa. In fondo, un piatto di metallo scintillò come la luna in fondo a un pozzo.

Zio Sorighe sollevò un cofanetto di asfodelo chiuso con un bottone di giunco e lo aprì: era pieno di collane e di anelli adorni di corniole e di grosse pietre verdi. Priamo guardò il vecchio, che in quell’atto ricordava i gioiellieri fenici offrenti la loro merce alle donne bibliche, e pensò che con la metà di quel tesoro morto egli avrebbe potuto crearsi una vita diversa. Intanto l’altro chiacchierava, socchiudendo maliziosamente un occhio.

— Le piace stare al paese? Che penseranno le devote della città? A creder mio qualcuna, dopo la sua partenza, avrà sputato sangue dal dispiacere.

— Quel drappo ha un buco. Ci son topi, qui?

— Se ci son topi? Vorremmo che altrettanti angeli ci venissero incontro nell’ora della morte nostra! Ma i sorci potranno rosicchiarmi il cuore, prima di penetrare in queste casse.

— Come va la vostra salute?

— Male. Il mio cuore batte come quello di una fanciulla innamorata.

— Andate dal medico.

— Che mi fa il medico? bisognerebbe cam-