Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta. |
— 232 — |
rati che avevano preso il colore delle foglie secche, le tovaglie così gialle che parevano tinte con lo zafferano, i drappi di lana striati di giallo e di nero come pelli di zebre e che servivano da tappeti nei giorni di festa. In fondo, un piatto di metallo scintillò come la luna in fondo a un pozzo.
Zio Sorighe sollevò un cofanetto di asfodelo chiuso con un bottone di giunco e lo aprì: era pieno di collane e di anelli adorni di corniole e di grosse pietre verdi. Priamo guardò il vecchio, che in quell’atto ricordava i gioiellieri fenici offrenti la loro merce alle donne bibliche, e pensò che con la metà di quel tesoro morto egli avrebbe potuto crearsi una vita diversa. Intanto l’altro chiacchierava, socchiudendo maliziosamente un occhio.
— Le piace stare al paese? Che penseranno le devote della città? A creder mio qualcuna, dopo la sua partenza, avrà sputato sangue dal dispiacere.
— Quel drappo ha un buco. Ci son topi, qui?
— Se ci son topi? Vorremmo che altrettanti angeli ci venissero incontro nell’ora della morte nostra! Ma i sorci potranno rosicchiarmi il cuore, prima di penetrare in queste casse.
— Come va la vostra salute?
— Male. Il mio cuore batte come quello di una fanciulla innamorata.
— Andate dal medico.
— Che mi fa il medico? bisognerebbe cam-