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curioso e maldicente come una donna. Poi andava a trovarli nei loro ovili, e quando se ne ritornava, sul far della sera, si volgeva indietro, guardava le greggie pascolanti fra le stoppie, e per confortarlo bastava quel segno di vita, quelle grandi macchie grigiastre che si movevano lentamente come nuvole sullo sfondo giallo del pianoro.

Di notte guardava i fuochi delle pianure e delle montagne del Nuorese, punti rossastri che parevano stelle cadute dal firmamento; e pensava che su quelle montagne si stendevano grandi boschi e sorgevano roccie così enormi che le rupi di San Teodoro, in confronto, sembravano ciottoli. Grossi torrenti scaturivano lassù, e v’erano macchie fiorite tutto l’anno, così fragranti che facevano starnutire. Il freddo conservava fresca entro lo grotte, per settimane e mesi, la carne dei porci e dei buoi rubati dai banditi. E questi vivevano lassù come nella loro patria. Durante la bella stagione la natura dolce e selvaggia che lo circondava riusciva a confortarlo: egli non la osservava con occhi di artista, ma la «sentiva» come dovevano sentirla i poeti primitivi legati alla terra da vincoli recenti e da una parentela che mano mano è andata rallentandosi e scomparendo. Era incapace di far male ad un insetto, e quando troncava un ramo grosso gli pareva che l’albero ne soffrisse. Quando non era occupato