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sembrano disseppelliti da vecchie tombe e ciascuno dei quali rappresenta un dolore. E il piccolo Santo vestito di rosso, coperto di anelli e di collane come un guerriero barbaro, ha nel viso pallido e negli occhi lucenti e immobili un’espressione di noia suprema.

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Anche il viso di zio Sorighe prendeva spesso quell’espressione. Egli non era nato per far l’eremita: era stato sempre un uomo socievole, allegro, amante della vita; ma il destino, che spesso predilige gli uomini pessimisti e li colma di doni quasi per ricompensarli dell’omaggio che gli rendono con la loro continua paura, aveva sempre perseguitato il vecchio poeta. Egli che amava gli uomini era stato deriso dagli uomini; egli che odiava il lavoro aveva sempre dovuto piegarsi ai lavori più umili e spregevoli. Ed ora, vecchio e malato, viveva come in esilio, condannato ma non vinto, e nella sua solitudine aspettava i giorni della festa come una fanciulla, contando i mesi e le settimane! Il suo più vivo desiderio era di veder gente. Quando i pastori che s’incaricavano di portargli le provviste potevano indugiarsi con lui, egli li interrogava a lungo sugli avvenimenti e le novità del «mondo», interessandosi a persone che non conosceva,