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e in mezzo a questi boschi di lecci la chiesa di San Teodoro appare come una capanna a metà scavata nella roccia, coi muri quasi neri e il tetto coperto di musco. Anche l’interno è nudo, primitivo; ma le pareti intorno all’altare del Santo spariscono sotto un’efflorescenza di strani oggetti votivi: fiori di metallo, anelli dallo grosse pietre gialle e verdi, rosari con croci d’oro stuzzicadenti d’argento che hanno come una forma guerresca, simili a pugnaletti o ricurvi come minuscole scimitarre e adorni di fischietti; bottoni in filigrana, che imitano forme di frutta coniche, gioielli che riproducono, con linee incerte, profili d’animali, di colombe, d’agnelli, di cavalli, tutti infine gli oggetti che un’arte primitiva ha prodotto forse a imitazione dei modelli bisantini.

A questi oggetti di ornamento si mescolano oggetti strani, alcuni macabri. Un contadino ha lasciato il suo pungolo istoriato, un cacciatore il suo fiaschetto di corno rozzamente inciso: una treccia di capelli castanei, ricadente fra due mammelle di cera, rievoca l’immagine melanconica di una fanciulla morta. Vi sono mani, gambe, dita, piedi, nasi di cera, gonfi e gialli come membra di cadaveri. Su un quadretto di latta una madonnina malamente copiata dal Sassoferrato abbassa le grandi palpebre quasi per sfuggire alla macabra visione di quegli oggetti che