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zo verso sè stessa non era un’elevazione, ma una depressione del suo spirito, l’abitudine di mortificarsi.
Con tutto questo la vita passava tranquilla e apparentemente serena: veniva la primavera; Francesco si mostrava sempre più affettuoso; ella lavorava tutto il giorno e trovava sempre qualche cosa da fare. Spesso sentiva che avrebbe potuto fare di più, e fantastici progetti le passavano in mente. Ma allora si ricordava di Luca, dei suoi progetti, dei suoi lavori stravaganti, e cadeva come in un sogno: dopo Luca ricordava i suoi vicini di casa, i giovinastri della zia Itria, l’ex-frate, il nano, il reduce, il figlio della vedova, tutte le figure e i tipi del vicinato dei poveri, compresa Michela, e li vedeva sotto una luce diversa, e provava per essi un sentimento nuovo, di pietà, quasi di amore, come se avesse scoperto un legame fra lei e loro.
Di giorno in giorno questo sentimento, che qualche volta le riusciva fastidioso come un abito nuovo, ingrandiva specialmente, davanti a lei, la figura di zio Sorighe. A momenti ella rivedeva il vecchio sullo sfondo azzurro e cinereo della vigna, col suo costume logoro, il volto sarcastico come quello di un filosofo maligno: ma più spesso egli le appariva sopra una roccia livida, come una figura sbozzata sulla pietra stessa. Qua e là attraverso gli stracci nerastri si vedevano brani di carne vio-