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— Tu dici di non esser pentito! Ma non può essere vero! Non m’inganni, no! Tu ora vai, vai e sai di andare verso una grande umiliazione, e forse pensi: «con un’altra donna questo non mi sarebbe accaduto. Sarei stato felice e tranquillo, mentre con lei non ho avuto e non avrò che dispiaceri e noie».

Per tre giorni lo seguì amorosamente col pensiero, senza abbandonarlo un solo momento. Eccolo arrivato. Egli va dritto in casa del canonico Bellìa; è sera: il canonico se ne sta seduto accanto al fuoco e legge il breviario, ma all’improvviso gli dicono, curiosi e stupiti, che il dottor Francesco Fais desidera vederlo, ed egli solleva gli occhi, segno di grande emozione in lui, si alza e s’avvia al salotto. Gavina, ha davanti agli occhi il melanconico salottino pieno di statuette, di quadretti, di fiori artificiali coperti da campane di vetro. Dalla finestra si scorge l’orto scuro, co’ suoi alberi spogli e le roccie dietro le quali Priamo l’ha baciata. Forse Francesco, mentre aspetta, guarda laggiù, e non sa che laggiù è cominciato il dramma al quale egli vuol porre termine. Egli non sa; egli non sa quanto ella è stata cattiva e bugiarda: se lo sapesse non si adoprerebbe tanto per lei. Ma al suo ritorno ella vuol confessargli tutto, vuol accusarsi con lui come un tempo si accusava col suo confessore.

Mentre è ripresa da questa antica smania