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Rientrando a casa, Francesco domandò se era arrivato un telegramma per la signora.

— Nulla.

L’indomani mattina il signor Zanche suonò invano alla porta del piccolo appartamento. Gavina lo vide, ma non aprì. Aspettava la risposta del canonico Bellìa, e le pareva che nessun’altra cosa al mondo potesse oramai interessarla. Seduta accanto alla finestra della sua camera, guardava il villino di fronte e la distesa delle case gialle e rosee al sole, al di là della via. Rumori confusi, vibrati nell’aria diafana, arrivavano fino a lei, ma come da una città lontana; tutto era chiaro e trasparente, eppure di tanto in tanto ella provava come un’impressione di soffocamento. Allora le ritornava in mente la figura dell’ammalata di gola, la cui vita dipendeva dall’infermiera impassibile, e le sembrava di rassomigliarle: un filo spaventevole stringeva il suo collo, e un fantasma 1e stava accanto, permettendole di respirare appena quel tanto che le impedisse di morire.

Francesco la trovò pallida, con le pupille torbide. Anche lui era preoccupato. Si gettò sul letto, ma non dormì e quando la portinaia suonò recando la posta dell’isola, balzò su e corse a vedere.

— Nulla.

Gavina teneva in mano una cartolina illustrata, coi saluti d’una sua parente, e la guar-