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si trasformò, riprendendo la solita espressione gaia.
— Che fai lì, Gavina?
— Leggevo la lettera di mia madre. Vuoi che te la legga?
— E perchè no? Ma vieni qui.
La fece sedere sul letto, accanto a lui, l’attirò a sè e la baciò: ella si dibatteva, sfuggiva alle labbra di lui; ma all’improvviso parve pentirsi, gli si abbandonò sul petto e lo guardò; e nei suoi occhi la voluttà e il dolore stesero un velo simile a quello del crepuscolo, quando la luce e l’ombra si fondono pur combattendosi.
Poi ella sedette ancora sull’orlo del letto e disse piano quasi tremando:
— Ora ti leggerò la lettera. Ascolta....
Ma non si decideva a svolgere il foglio: a capo basso, curva su sè stessa, pareva vinta dal sonno.
— Leggi, Gavina!
Invece di leggere ella disse esitando:
— Senti, dimmi, si può smarrire una lettera raccomandata?
— È difficile, ma può succedere. Perchè?
— Ascoltami.... Devo dirti una cosa.... Mi ascolti? — ella ricominciò sottovoce, con l’accento umile e ansante che usava un tempo col suo confessore. — Ma non parlare, non interrompermi finchè non ti avrò detto tutto. Tu dicevi l’altro giorno che eri convinto del
Deledda, Sino al confine. | 13 |