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pagna. Ella camminava sotto gli alberi spogli di un viale: vide un cocchiere immobile sul suo seggio, livido come un cadavere congelato dal freddo; sentì un odore di foglie fracide e di terra umida, sollevò gli occhi e scorse una chiesetta violacea e melanconica. Entrò e s’inginocchiò per terra, accanto ad una colonna. L’interno della chiesa era oscuro, ma come dei sottili raggi di luna penetravano qua e là, illuminando vagamente i cornicioni dorati, e una lampada rossa brillava in lontananza come un faro tra la nebbia. Gavina ebbe di nuovo, come nella chiesa di San Bernardo, un’impressione lugubre; le parve di trovarsi in una grande tomba fantasticamente decorata d’oro, e per la seconda volta si accorse che non poteva pregare.
Come una paralisi aveva colpito il suo sentimento religioso; e per alcuni momenti anche lei rimase immobile e fredda e le parve di morire. Ma a poco a poco si rianimò e con uno sforzo di volontà riuscì a scuotere la sua fede intorpidita. Preghiere strane e insensate le risalirono dal profondo del cuore; domandò di morire, di soffrire, di essere colpita in ciò che aveva di più caro al mondo, e per tormentarsi meglio pensò a colui che era morto per lei: le sembrava di vederlo, nero sulla neve della montagna, purificato dalla morte: e si chinava sul pavimento come avrebbe voluto curvarsi su lui per domandargli perdono.