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sè la porta, appese il cappello all’attaccapanni e penetrò nella saletta da pranzo.
— Lei non mi riconosce, signora Gavina?
— No.... ma.... s’accomodi.
Egli sedette davanti al tavolino da lavoro che stava nel vano della finestra, e sfregò i piedi sulla pelle di montone che serviva da tappeto.
— Io conoscevo suo padre: sono stato due volte a casa sua, ma lei era una bambina. Aveva anche un fratello: è vivo? che fa?
Egli parlava a voce alta e senza sorridere, e sembrava un po’ sordo.
— Sta in casa con la mamma, — disse Gavina freddamente.
— Non s’è laureato?
— No.
— Conosco altre persone del suo paese. Vivo da venti anni a Roma, e da quindici anni non ritorno nell’isola, ma ho ancora molti amici laggiù. Forse quest’anno ci andrò per acquistare del grano. Anche qui ho molti amici, soprattutto artisti. Conosce questa?
Le fece vedere il ritratto d’una bellissima artista col petto nudo e il collo fasciato di perle, e Gavina lesse sul cartoncino questa dedica scritta a grossi caratteri:
«Al carissimo signor Zanche, la sua amica C. M.».
— Ma lei dov’è nato? — E trasalì nel sentire il nome del paese di Priamo.