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Era mezzogiorno. Gavina si distraeva nonostante la sua stanchezza e la sua idea fissa: ma a un tratto vide un uomo alto e magro, con un berrettino listato, una borsa a tracolla o fra lo mani un fascio di lettere; e mille ricordi le passarono in mente, e le parve di essere ancora alla finestra della sua camera, in attesa di una lettera che doveva decider del suo destino. Seguì con uno sguardo di simpatia e di odio l’uomo, che entrava nei portoni o ne usciva frettolosamente, e le venne il desiderio di scendere o domandare se c’era qualche lettera per lei. Che cosa aspettava? Era tutto finito: eppure provava come l’insensata speranza di coloro che vegliano il cadavere d’una persona cara immaginandosi di vederla da un momento all’altro rianimarsi.

Quando Francesco rientrò ella era già più tranquilla. Dopo colazione fecero nuovamente assieme il giro dell’appartamentino; ed egli la teneva per la vita e si guardava attorno soddisfatto, ammirando la sua casetta.

— Abbiamo tutto il necessario; non ti pare? E persino oggetti di lusso! Qui però, — egli disse, spingendo l’uscio del suo gabinetto — qui mancano molte cose ancora!

— Strumenti?

— Strumenti e clienti! — egli disse ridendo. Poi le fece vedere i suoi libri, non tutti scientifici, e gliene mise uno in mano. Ella lesse il titolo «Memorie di un ottuagenario» e scosse la testa.