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sforzassero a liberarsi dalla loro candida coperta per mostrarsi un’ultima volta a colei che se ne andava. Ma ella stringeva nella mano il dono di zio Sorighe, intuiva la triste verità e non capiva altro. Quando fu sotto l’elce apri il portafogli e vi trovò dentro un piccolo cartoncino chiuso in una busta senza indirizzo. Per un attimo fu tentata di restituire ogni cosa al vecchio; ma il pensiero che Francesco potesse accorgersene la trattenne. Francesco! Ella sentiva di ingannarlo, eppure si ostinava a credere di compiere un dovere tenendo tutto per sè il suo penoso segreto.

— Bisogna finirla, bisogna finirla....

E aprì la busta.

Da una parte del cartoncino bianco lesse il nome di Priamo, stampato a grossi caratteri neri; dall’altra poche righe scritte da lui. «Lasciami tranquilla — hai scritto, respingendo la mia lettera senza aprirla. Così hai sempre respinto me, ciecamente. Sì, ti lascio tranquilla; tu non hai saputo tenere la tua parola, ma io tengo la mia. Tu vai verso la vita, io vado verso la morte. Me ne vado per provarti che vivevo solo perchè credevo ancora in te. Addio».

Ella rilesse il biglietto, fermandosi alle parole «credevo ancora in te» poi lo volse e stette per qualche attimo con gli occhi spalancati, pieni di terrore.

Quel nome nero sul candore del cartoncino