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Sebbene la voce fosse sgradevole, ed egli canticchiasse scherzando, Gavina si turbava e cercava di allontanare da sè i pensieri che le sembravano impuri.
Verso sera, com’ella temeva, cominciò a nevicare; ma il giorno delle nozze il cielo si rasserenò e la montagna e la valle apparvero come coperte anch’esse da una veste nuziale. Francesco non sembrava molto preoccupato per l’imminente solennità e uscì nell’orto e arrotolò molte palle di neve che sbattè contro l’elce, facendone cadere i merletti scintillanti.
Gavina guardava dalla finestra.
— Ecco, — gridò Francesco asciugandosi il sudore dalla fronte, — così tu rivedi le foglie del tuo albero!
Ella fissò l’elce e parve cadere in un sogno profondo. Ma l’ora fatale si avvicinava.
La cerimonia, per volere di Gavina, doveva svolgersi semplicemente: non erano state fatte partecipazioni, e Paska nel ricevere i pochi regali che i parenti sebbene non invitati mandavano, piangeva pensando che la sua padroncina avrebbe potuto sposare un sotto-prefetto e celebrare nozze di lusso, e invece si sposava con un mediconzolo, e in modo così modesto.
— Zia Pa’, che avete? — le domandò il servo, — avete male agli occhi? Li avete rossi come due fichi acerbi.
— È il freddo, il freddo.... Franziscantò! E