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si stendeva il mondo, coi suoi mari, le sue città, le sue meraviglie; ma ella guardava più in su, perchè al disopra dell’azzurro vuoto del cielo v’era, per lei, un mondo sotto il quale il nostro non è che una landa melanconica. V’era il Cielo, col sogno dei sogni: Dio.



Di solito, a quell’ora, anche lei andava a letto; quel giorno però un’eccitazione fatta d’inquietudini e di speranze l’agitava. Dopo essere stata alla finestra verso l’orto andò a curiosare dietro i vetri della finestra che dava sulla strada.

S’udiva uno scalpitare di cavalli, e in breve una comitiva di cacciatori invase la strada, fermandosi davanti a un cancello sulle cui rozze colonne due aquile in gesso spiegavano le ali corrose. Quasi tutti bei giovani, coi volti infiammati dal sole, i cacciatori ridevano e gridavano, sicuri sulle loro cavalcature come centauri pronti alla corsa sfrenata.

Dall’alto della sua finestra Gavina guardava con occhi avidi. Un uomo non più giovane, ma bello ancora, bruno, alto, grasso e roseo in viso, tutto vestito di bianco, uscì a cavallo dal cancello delle aquile e si mise alla testa dei cacciatori. Sul suo cavallo bianco egli sembrava una statua equestre. Gavina odiava e