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non le avesse ancora parlato della «brutta cosa». Che egli dubitasse? Che egli credesse di recarle dolore? Bastò questo per ridonarle almeno l’apparenza della sua calma superba.

Dopo il pasto, mentre i vendemmiatori tornavano al lavoro, Francesco e il canonico andarono a sedersi sotto lo quercia, e cominciarono a parlare animatamente. Spinta dalla sua inquietudine Gavina li raggiunse, ma all’avvicinarsi di lei entrambi tacquero, e il canonico si alzò e si sdraiò dietro il muricciuolo.

— Vado a prendervi un cuscino — disse Gavina.

— Questo è il miglior cuscino del mondo! — egli gridò, battendo la mano al suolo; e chiuse gli occhi, e subito dopo cominciò a russare.

Ella sedette sui muricciuolo, e Francesco le afferrò subito una mano e se la portò alle labbra. Nessuno li vedeva; i vendemmiatori lavoravano all’altra estremità della vigna, e il vento lieve del meriggio portava a tratti qualche grido, qualche risata di donna. Il cielo era d’un azzurro intenso, e l’aria trasparente come nei meriggi di primavera; il profumo della brughiera aveva un odore salmastro e il mormorio continuo e monotono della quercia imitava il rumore delle onde. Chiudendo gli occhi i due fidanzati potevano credersi in riva al mare o avrebbero potuto trascorrere un’ora soave, anche senza dirsi una parola: bastava