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l’assalivano come il vento assaliva la quercia, piovevano su lei con le foglie che la vecchia pianta le buttava sulle mani e sul capo.

Come in «un giorno lontano» ella aspettava un uomo; ma non sentiva più e mai più avrebbe sentito quel senso di mistero e d’attesa provato mentre Priamo saliva l’erta. Ella lo sapeva: e guardava innanzi a sè vigile e melanconica, e le pareva che il suo avvenire rassomigliasse all’orizzonte autunnale, ancora azzurro ma già velato e qua e là come macchiato di ruggine.

Quando Francesco arrivò, a piedi, coperto di polvere, e dalla strada la salutò militarmente per dimostrarle che non era stanco, ella ricordò «l’altro» e s’irrigidì. Francesco non era per nulla mutato; conservava persino le stesse vesti tutt’altro che eleganti dell’anno passato; gli stessi calzoni turchini, gonfi sulle ginocchia, la stessa cravatta nera svolazzante che accresceva il fosco pallore del suo viso.

Senza alzarsi Gavina gli porse la mano e domandò:

— Ha veduto Luca? Le ha detto come è stato male?

Francesco la guardava fisso, cercando invano di vincere la sua commozione, e sorrideva, mostrando tutti i suoi bei denti, ma ansava un poco.

— Sì, mi disse che è stato un mese in mon-