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lante ripeteva un canto di amore e di vita. E Gavina diceva a sè stessa:

— Egli pensa a me.

Quando Priamo passava davanti alle sue finestre ella si ritraeva, ma stava ad ascoltare il fruscio delle sottane e lo scricchiolio delle scarpette del giovane prete. Un giorno, verso la fine di maggio, egli fece visita alla signora Zoseppa e quando se ne andò lasciò nella saletta un profumo di fieno che turbò Gavina. Ella si avvicinò alla finestra e sentì che Priamo ripassava nella via, ma non si ritirò, ed egli, passando rasente alla finestra, le gettò una rosa che teneva in mano.

Ella prese la rosa e se l’avvicinò alle labbra, ma tutto ad un tratto inorridì, ebbe paura e vergogna di sè stessa. Ah, dunque il dramma non era finito, forse neppure incominciato!

— Domani.... domani mattina bisogna confessarsi! — pensò, e come usava spesso andò a pregare Michela di accompagnarla l’indomani mattina per tempo in chiesa.

Cadeva la sera: la viuzza era deserta e dalla valle saliva un odore di erba e di ginestra in fiore. Nella casa di Michela le finestre erano chiuse, ma attraverso il portone aperto si vedeva luce nella cucina. Forse Michela era andata da qualche donna del vicinato, e per aspettarla Gavina entrò nella cucina e sedette acconto alla porta. Dopo un momento, giù per la scaletta esterna, che dal cortile condu-