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tre scendevano la viuzza davanti alla casa del contadino, Gavina e Paska incontrarono Priamo e videro Michela che si ritraeva rapidamente dalla finestra. Gavina provò un senso di gelo: passò oltre, senza invitare Michela ad accompagnarla, e le parve di scendere in un luogo buio e freddo, mentre invece la grandiosa vallata non era mai stata più bella, d’una bellezza pura e mite.

L’inverno aveva rinfrescato anche il colore delle roccie; le distese degli oliveti apparivano in lontananza come nuvole perlacee ondulanti sullo sfondo oscuro delle chine arate, e dai monti scendevano, vene d'argento, mille rivoletti silenziosi, scintillanti tra il verde vivido dell’erba già alta. Il torrente sussultava in fondo alla valle tra i peschi e i mandorli fioriti; e tutto era puro, giovane, fresco sotto la luce argentea di quel gran cielo mite, sul cui orizzonte i profili morbidi dei monti ancora coperti di neve si stendevano come file di colombi addormentati.

Gavina camminava rasente al paracarri, e nel suo turbamento ricordava le notti d’estate, i fuochi dei dissodatori, i racconti di Michela; e invece del paesaggio fresco e puro vedeva una valle cupa, fantastica, coperta d’ombre deformi e di chiarori sanguigni.

Anche Michela peccava, e Priamo invece di salvarsi cadeva sempre più nell’abisso!