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pronunziò la parola; e tutta la sua anima, piegata, tremò e resistè, come la canna al vento, mentre Priamo piangeva e parlava con parole sconnesse.

— Io ho sperato sempre in te, Gavina! Quando ti scrivevo e tu non rispondevi, pensavo: «Ella ha giurato che non si sposerà mai: io potrò pensare a lei, ed ella penserà a me». A Roma la tua figura mi seguiva sempre come la mia ombra. Verso sera io guardavo il Tevere, illuminato da migliaia di lumi, e pensavo: «quest’acqua va al mare, e forse s’incontrerà con l’acqua del nostro torrente. Perchè io e Gavina non dovremmo un giorno incontrarci così?» Appena vedevo una cosa bella pensavo subito a te. Quando uscivo, e vedevo la folla, le donne, i fiori, la luce delle lampade elettriche, le carrozze con i signori che andavano ai pranzi od al passeggio, sentivo una pazza invidia, non per me, ma per te! Pensavo: «Gavina sta sepolta laggiù, e non è qui con me, ed io sono tanto povero che non posso toglierla dalla sua tomba...» E mi veniva in mente di lasciare il convento, di cercare un posto.... ho anche cercato.... ma non ho trovato! E ti mandavo le cartoline con la speranza che la visione di Roma ti esaltasse.... Un giorno mi dissero che volevi sposarti, allora diventai quasi pazzo. Ah, tu non dormivi come io credevo; tu volevi dunque vivere! Son venuto per questo; ma ora mi accorgo che mi