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occupata nell’orto, non aprì, il colpo rimbombò di nuovo; e Gavina credendo fosse il postino nel suo giro per la posta di città scese di corsa.

Trovò Priamo davanti alla porta. Calmo, quasi indifferente, con la mantellina avvolta intorno al braccio, egli la salutò come se si fossero lasciati appena il giorno prima.

Entrarono nel salotto.

— Come sta Luca?

— Non tanto bene. È con mia madre nella vigna.

La parola, «vigna» li fece arrossire tutti o due. Egli allora la guardò, col suo sguardo fosco ed avido ad un tempo, ed ella ebbe quasi paura.

— Adesso dirò a Paska che porti il caffè, — disse ritraendosi; e uscì, agile e silenziosa, e rientrando lasciò aperto l’uscio.

Priamo stava davanti alla «console» e i suoi occhi, quando fissarono di nuovo quelli di lei, erano pieni di lagrime. E Gavina ebbe l’impressione di trovarsi con un Priamo ch’ella non conosceva ancora, un Priamo timido ed infelice.

— Tu hai paura di me? — egli le domandò, con voce tremante d’ironia e di dolore. — Perchè sei andata a chiamare Paska? Hai paura che io ti voglia baciare? Oh, è inutile baciare chi non ama! E tu non ami, non puoi amare; tu non hai cuore!