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per arrivare a casa, era la strada che passava davanti alla vecchia chiesa; Gavina preferì attraversare un viottolo, poi un tratto dello stradale che correva tra la valle e la montagna, e risalì una viuzza stretta fra casupole che parevano cumuli di pietre.

La strada selciata ove sboccava la viuzza era quasi di esclusiva proprietà dei Sulis. Di qua e di là sorgevano le case e i muri dei cortili di questa gente industriosa e fortunata. Anche le donne di casa Sulis si facevano onore. Una, la zia Itria, vedova e senza figli, comprava e rivendeva orzo e frumento: la sua casa grigia, in principio della strada, segnava il confine tra questa e la viuzza abitata esclusivamente da pastori e contadini poveri. Un’altra zia di Gavina possedeva due case, una turchina e l’altra rosea, in fondo alla strada, a fianco della chiesetta di San Gavino. Un canonico Sulis abitava più in qua; la sua casa però, modestissima, ricordava le misere abitazioni dei contadini poveri, ai quali egli, pure parlandone male e spesso ingiuriandoli, prestava i suoi denari senza mai riaverli.

Passando davanti alla casa della zia Itria, Gavina guardò attraverso alla porta spalancata e salutò colla mano. In fondo a un andito ingombro di sacchi pieni di grano si vedeva un cortile stretto come un pozzo: una donna piccola e obesa, dal viso grasso e dal naso schiacciato, bucato dal vajuolo, sedeva