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come precisione perfetta e copia esatta del reale, dove la precisione é, invece, come dice l'artista, "una caratteristica dell'immagine e non di ciò che è raffigurato". L'alta definizione è solo uno degli standard possibili. Smascherando la presupposta oggettività della telecronaca televisiva, Simonetta Fadda torna ad attestare sulle parole di Marshall McLuhan che la televisione è linguaggio e qualsiasi scelta linguistica è consapevole, dunque, potenzialmente ideologica. Le origini della videoarte e alcuni sviluppi nell'uso del mezzo tra gli anni Sessanta e Settanta forniscono gli spunti teorici che sostanziano l'approccio al video di Simonetta Fadda che, da un lato, recupera l'eredità della visione analitica e metalinguistica di artisti come Nam June Paik. La decostruzione del linguaggio, con la conseguente produzione di immagini più che di narrazioni, attraverso il lavorio sul segnale elettronico e sulle potenzialità intrinseche del mezzo video, è uno dei punti di partenza nella scelta della bassa definizione come standard, con la considerazione dell'imperfezione come possibilità espressiva oltre che critica. D'altra parte, invece, c'è la controinformazione e tutto ciò che ha comportato l'utilizzo politico e sociale del mezzo, il video militante nato con la diffusione dei videoregistratori portatili e maneggevole la bassa definizione a portata di mano per dare spessore al discorso teorico e alla valenza politica del seguire più da vicino e dal basso — e con presupposta maggiore verità - il flusso degli eventi e della vita. Così, per restare in Italia, Anna (1972-1975) di Alberto Grifi fornisce un modello per le telecronache, per quanto il video possa essere strumento per accompagnare il farsi

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