accertarci, verbigrazia, che in un dato luogo le misure non subirono che alterazioni portate dal tempo, indipendentemente dalla volontà degli uomini, oppure che in un altro a una cert’epoca un sistema di misure cessò di esistere per fatto dell’uomo, e ad esso se ne sostituì un altro, come avvenne a Cremona ed a Como. In questo caso ogni apprezzamento ha una base nella condizione effettiva delle cose, e non in una isolata, e quindi ingannevole coincidenza di cifre. E questo ci premeva di avvertire, perchè collo scarsissimo materiale metrologico, che era a nostra disposizione, alcune volte dovemmo appoggiarci a cifre isolate, e lasciar quasi alla ventura il cómpito di raffermare le nostre induzioni. E una tale scarsezza di materiale è quella, che ci lascia incerti se, nel tentativo da noi fatto di porre in luce il sistema di misure dei terreni creato da re Luitprando, e la sua connessione col sistema romano, noi abbiamo portato vasi a Samo o nottole ad Atene. Tuttavia una nota confusa, posta dall’editore appiedi di un documento milanese pubblicato, non ha guari, nel Codex Diplomaticus Langobardiae (Histor. Patr. Mon. 13 col. 449), ci lascia sospettare, che nella stessa città, nella quale si mantennero vivissime le traccie di quel sistema, non si sia ancor giunti a formarsene un esatto concetto, e quindi restaci un debole filo di speranza, che non al tutto inutili abbiano a riuscire le nostre investigazioni. E quand’anche avessimo côlto in fallo, saremmo lieti di aver prestato mezzo ad altri di gettare una maggiore luce su questo sistema di misure agrarie, sul quale, tutti coloro, che sono a nostra cognizione, si esprimono, o con peritanza, o con incertezza.