cale sopravvissuto agli spaventosi sconvolgimenti che colpirono la nostra penisola, o di un Piede introdottosi colla forestiera conquista, oltre i numerosissimi esempi pervenuti fino a noi, lo prova la significante espressione, non solo della già citata Cronaca della Novalesa, ma anche di quella di Farfa, ove leggiamo: res ad Modia XXII per unumquodque Modium habentia in longitudine Cannas XX et in latitudine in omni loco cannas X ad cannam pedum X legitimi cubitalis (Chron. Farf. in Rer. Ital. Ser. 2, 2 col. 513), il quale pes legitimus cubitalis in altri luoghi di questa Cronaca è detto anche pes publicus (ibid. col. 401). Se tale è adunque la base delle misure agrarie stabilite da re Liutprando, resterà sempre insolubile la questione, di determinare, cioè, quale fosse il valore del Piede romano a’ suoi dì. Questo, durante l’impero, soffrì un rimpicciolimento, poichè Raper, che ne ha dato il più ragionevole ed il più accettabile valore, scrive: Appare dalle misure di questi edifici che il piede romano prima del regno di Tito non fu inferiore a 970 parti su mille del piede di Londra, e nel regno di Severo e di Diocleziano rimase al di sotto di 965 parti (Philosophical transactions 1760 p. 820 in Hultsch, Metrol. p. 75 Nota 12). Siccome, stando a questi risultati, il valore più grosso del piede romano non sarebbe stato inferiore a millimetri 295,74, così, tenendo per base il rapporto dato dallo stesso Raper tra il Piede di Parigi e quello di Londra come 10654:10000 (ibid. p: 778. Hultsch, a. l. c.), che è pur il rapporto ammesso da Paucion (Metrol. p. 65) e che di poco si scosta da quello stabilito dall’Accademia di Parigi (Cristiani, Misure ecc. p. 19), si deve ammettete che il Piede