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Il Royer, che non sa il francese, udendo il suono delle parole fa un gran rumore, dice che sul teatro non si rappresentano queste nefandezze, e lo minaccia del carcere. Ma lasciam questo stupido ribaldo.
È in Napoli un prete a nome D. Placido Baccher di cui già facemmo un cenno nel capo terzo, focoso agitatore delle donnicciuole, e del più feccioso popolazzo. Apre la sua chiesa quattr’ore prima di giorno l’inverno, per fare, come si dice, udir la messa ai servitori ed agli artigiani. A quell’ora in tutte le più lontane parti della città le bizzocche ragunansi a truppa, non ispaventate da rigor di stagione, illuminate da lanternoni, fiancheggiate da religiosi amatori, vanno alla chiesa in processione stridendo e cantando litanie e rosarii. E nella chiesa non vedi gente cattolica, ma sozzamente idolatra. Cade talvolta un po’ di cera da moccoli che sono innanzi la Vergine: a quel rumore il popolo grida miracolo, D. Placido ripete miracolo; ed odi un gridare, un piangere, un picchiar di petto. In questo fervore esce un clerico con la borsa per la cerca: e D. Placido dal pulpito tuona e dice: fate bene alla chiesa, e lasciate i poveri: che Gesù Cristo dice che i poveri li avete sempre con voi, ma la chiesa non l’avete sempre con voi. Nel venerdì santo si pone sull’altare un’immagine del crocifisso, la quale alle parole di D. Placido dimena il capo, e fa vista di agonizzare e morire. Nella festa dell’Ascensione vedi un’altra immagine di Gesù tirata da funi fin sotto la cima della cupola, dove poi vien nascosta da certi imbratti che paion nuvole. E queste cose son fatte tra le strida furiose della plebe, e di D. Placido, il quale sul pulpito mugisce, piange, si percuote, batte le mani e i piedi, e si dimena come un invasato. Queste profanazioni, che paiono brutte e scandalose anche a taluni non ottimi preti, han fatto acquistare a D. Placido la particolare protezione del Re e della Regina madre, i quali spesso vanno a visitar quella chiesa, e lo credono un santo,