tugurio, si vede addosso gli esattori inesorabili, i quali lo cacciano dalla casa, gli vendono la caldaia, la padella, il treppiede, e le povere masserizie, fra i pianti della donna, e le strida delle misere creaturine, impaurite dalle minacce dei gendarmi, i quali sono strumenti sempre pronti ad ogni espressione. Chi indugia a pagare si vede in casa un ospite gendarme, che vuol cibo e letto, o due carlini al giorno, co’ quali egli sbevazza nella taverna, e la misera famiglia piange digiuna, e vende per pagare. Il dazio su i fondi urbani fu cresciuto per pagare i tedeschi venuti con Ferdinando I: i tedeschi partirono e il dazio rimase qual era. Contro ogni massima di economia ci sono due o tre, ed anche quattro dazi su di una sola cosa. Si paga la fondiaria, si paga un dazio nell’introdurre il grano in un paese, si paga un dazio nel macinarlo, si paga un dazio nell’introdurlo manifatturato in un altro paese.
Il sale pagasi tredici grani il rotolo; e la povera gente non può comperarlo. Quando il Re corre il regno le affamate popolazioni gli vanno incontro e non gli gridano altro che, ribassate il dazio sul sale, mettetelo sopra altra cosa, lasciateci mangiar condito. Il Re fa segno col capo, dice che farà, sprona il cavallo, e misero chi non gli fa luogo. In Napoli si giunse sino a questa vergogna: si posero i birri a costringere i sorbettieri a gettare l’acqua che si fa dalle neve per congelare i sorbetti; affinchè non si potesse ribollire ed estrarne il sale. In Sicilia non vi ha dazio sul sale, nè sul tabacco, ma il dazio sulla fondiaria è maggiore, e quei miseri sono in altra parte spremuti. Dazi comunali, dazi urbani, dazi sulle cose di cui han più bisogno i poveri, e nessuno su le carrozze, sui cavalli, su i servi: e perchè nessuno impari a leggere, dazi enormi su i libri. Per ogni libro che viene dall’estero prima si pagava tre carlini a volumi, ora si paga la metà, ed è ancora una imposta gravissima. E se un libro estero por-