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strade ferrate, ma quando vi sono anche le strade comuni: esse sono direi quasi lusso, non una necessità. Or si crederebbe che quando un paesello vuole a sue spese farsi una strada, non ottiene dal governo il permesso? o se lo ottiene, il danaro non basta per isfamar gl’impiegati che fanno avere il permesso, l’architetto che dev’esser dato dal governo, e l’opera resta a mezzo, o non si comincia affatto. Si crederebbe che le Calabrie non hanno che una sola e cattiva strada, due brevi e pessime la Sicilia, due gli Abruzzi, e che pochissime città hanno le traverse che mettono su le strade consolari, tutte fatte dal governo francese? Si crederà che nell’interno delle provincie non si può camminare se non a piedi o a stenti a cavallo? Queste opere tanto cantate, sono opere stolte e pazze, senza un vero fine utile, male eseguite, e mostrano il carattere del Re, che tutto fa a capriccio, tutto presume di fare; e niente sa fare.

Or veniamo alla pubblica istruzione, che è un altro affar da nulla, e forma parte di un altro ripartimento del ministero dell’Interno. Una sola Università in tutto il regno di Napoli, tre in Sicilia, collegi in ciascuna provincia, seminarii nella diocesi, scuole primarie ne’ distretti, secondarie ne’ comuni, e le scuole private sono i luoghi ove il governo tollera che la gioventù delle Sicilie s’educhi il cuore e la mente. Ma che dico s’educhi? L’istruzione del nostro paese è una cosa fradicia, una piaga cangrenosa, un male che il governo tollera per non essere chiamato barbaro. Presidente della pubblica Istruzione è Monsignor Giuseppe Mazzetti, uomo inetto e vano, dominato da un cameriere e da un impiegatello; e quasi fosse leggiero l’uffizio che ha, o non si volesse che ei vi badasse molto, gli si è dato ancora l’uffizio di Consultore di Stato.

L’Università di Napoli è un mercato di studii, una trista vergogna; i professori mediocrissimi, svogliati,