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spinto a gettar la limosina per non udir quello strazio. Or di chi è la colpa di questi mali? Quale tristo spettacolo è una turba di tanti affamati nel paese che la natura ha fatto per essere il più ricco e più lieto di tutti! E questo Re e questo governo si chiama cattolico!

Si crede di porre un rimedio a questo male facendo molte opere pubbliche, delle quali si lodano molto il Re ed il Santangelo, l’uno valente architetto, e l’altro provveduto spenditore. Ma quali sono coteste opere? Si è rifatta la casa del Re col danaro della Città di Napoli: si è speso in pochi anni circa mezzo milione a rabbellire il teatro S. Carlo per dare un divertimento alla Corte, ai forestieri, alle nobili sgualdrine: si spendono circa trecentomila ducati a racconciare la strada di Posilipo, affinchè vi si possa passeggiare in carrozza più agiatamente, e si cacciano da quella contrada i poveri pescatori, i quali con la loro miseria sturberebbero la beata gente nei cocchi. Queste opere sono tutte fatte per capriccio puerile del Re, non per utilità della nazione: si guastano le possessioni de’ proprietari e si devastano dai soldati artigiani muratori: e chi si lagna si ode rispondere che è un malvagio, che l’utilità privata deve cedere alla pubblica. Si son fatte due strade ferrate, una che da Napoli stendesi a Nocera, e con un ramo a Castellammare: un’altra da Napoli a Capua. Quest’ultima fu fatta per congiungere le due reggie di Napoli e di Caserta, come sta scritto su la medaglia fatta per perpetuarne la memoria; e con un braccio ozioso stendesi sino a Nola, dove il Re voleva andar presto a vedere i soldati. Ma tutto si fa per Napoli, e intorno a Napoli, nulla per le provincie, per la disgraziata e cara Sicilia, dove gli abitatori devono arrampicarsi per i dirupi, o correr pericolo di sprofondar ne valloni, o annegar nelle fiumane per portare ad un mercato a tramutare o vendere gli scarsi frutti delle loro terre e della loro misera industria. Ottime e desiderabili sono le