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mar le milizie urbane, poi va alle costoro mandre, e prende pecore, agnelli, cacio a sua voglia, e batte i pastori che dan da mangiare ai briganti. Mentre i gendarmi fanno una via, i briganti sono o in casa di un uffiziale, cui han dato il danaro avuto da proprietari, o in altro luogo che l’uffiziale ben conosce. Così i briganti son sempre miseri, i gendarmi sempre ricchi, i proprietari sempre assassinati or dagli uni or dagli altri. Giosafatte Talarico, celebre bandito calabrese, è stato per dodici anni il signore della Sila, beffandosi dei gendarmi, del Ministro, e di tutti i cinquantamila soldati del Re. Gli fu proposto di capitolare, ed il Ministro gli portò e gli diè, di sua mano in Cosenza il decreto di grazia. Ora è in Lipari, armato con diciotto ducati al mese: i compagni ne han dodici. Il vescovo di Lipari lo ha fatto confessare, e sposare una brigantessa sua compagna, ed ha scritto al Re desse più larga pensione al Talarico divenuto buon cristiano, marito, e suo compare. Il Re poteva negar nulla ad un vescovo che pregava per un brigante? Il Ministro si è gloriato di aver liberate le Calabrie da un mostro. E pure lo sciagurato Giosafatte faceva minor male che gli affamati gendarmi, e il rapacissimo capitano Salzano. Il solo Del Carretto gendarme si può gloriare di quello che farebbe vergogna ad ogni uomo, di essere sceso ad accordo con un brigante, di dar cuore agli altri di divenir celebri briganti. Quanto è vile la Polizia delle Sicilie! quanto è stupida e balorda! quanto è maggior di lei anche Giosafatte Talarico!

E quanto è ladra! Non bastando al Ministro nè i suoi soldi, nè quelli del figlio, che fanciullo di 10 anni è tesoriere della cassa di sconto con 500 ducati al mese, nè il danaro per le spie, che son poche, sciocche e mal pagate; non bastandogli i ricchissimi doni di cocchi, di cavalli, di vasellamenti d’oro e d’argento, di finissimi drappi che gli vengon dati da coloro che lo vogliono