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[379] il gruppo degli ergastolani politici 93


sovra a un tavolino che s’apre e si chiude come un libro, pone su la salvietta un pane, un orciuolo o un bicchiere d’acqua, una scodella entro cui versa il cotto, e quasi tutti a un tempo pranziamo, e compagnescamente l’uno offre all’altro di ciò che ha. Pochi mangiano a coppia: quasi tutti soli; spesso per un giorno o piú si uniscono due o tre, poi ciascuno torna solo. Le continue sofferenze ci han renduto tutti bisbetici; la mancanza di ogni libertá fa desiderare a ciascuno di essere liberissimo in ciò che egli può. L’ergastolano è un uomo d’eccezione, diverso da tutti gli altri, anche dagli stessi condannati ai ferri; certi giorni, certe ore del giorno ha la febbre. Se si facesser tra noi alquante compagnie, se uno in ciascun giorno o in ciascuna settimana, avesse l’incarico di provvedere o di cucinare per gli altri, costui avrebbe un peso enorme, si sentirebbe oppresso da un giogo insopportabile. E poi non v’è spazio, non vi sono utensili, non vi è maniera d’accomunarsi nel desinare. Se n’è fatta molte volte esperienza: ma ciascuno ha desiderato di esser libero anche nel suo capriccio. Oh chi è condannato a viver tutta la vita sua nell’ergastolo, talor s’incresce anche di sé stesso! Per amarci, compatirci, e vivere insieme, ciascuno di noi deve poter dire: «In questo io son libero».

Mezz’ora dopo il mezzodí quasi tutti si coricano, pochi, tra i quali io, escono sulla loggetta a passeggiare, se è buon tempo; se no, si rimane al proprio posto tacitamente, ed io mi distendo su le tavole del letto e o leggo o penso. Quando i dormenti si svegliano (e si dorme anche di questa stagione per non avere che fare) si ricomincia a parlare, passeggiare (passeggiare mo’, si passeggia come il leone nella gabbia, si danno sei sette passi, e si dá la volta), a fumare, a leggere, a sospirare, a fremere, a fare ciò che non si può narrare esattamente, ma può essere immaginato da chi è stato in carcere.

Col cadere del giorno son chiuse le stanze in cui siamo; e chi mangia un po’ di pane e cacio, o qualche cibo rimastogli dalla mattina, chi si aggruppa con un altro sopra un letto a parlare, e chi si mette a studiare. A due ore di notte cessa