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XXIII

(Il gruppo degli ergastolani politici).

Santo Stefano, 15 dicembre (1854).

Da che tutti i ventidue ergastolani politici siamo riuniti in queste due stanze, che hanno due finestre sul mare, l’ergastolo ci fa meno orrore. Io sento che mi ritorna un’aura di vita nella intelligenza che m’era spenta del tutto: non odo piú parole orribili di sangue e di misfatti: non vedo quelle facce, quelle belve parlanti, o le vedo quando voglio e sol da lontano. Siamo tra noi, abbiamo il gran conforto di poter liberamente parlare, di guardarci in viso senza dover subito bassare gli occhi per l’orrore, di guardare un’isoletta, il mare, e pochi battelli pescherecci: di dormire la notte senza udire il russare dell’assassino. Io non ho piú vicino a me quel calzolaio che mi martellava il cervello per tutto il giorno, e nelle prime ore della notte, quando cominciavo a dormire, ei mi svegliava con quello spietato martello che mi ammaccava e mi lacerava tutte le membra del corpo. Ora vicino al mio letto sta quello del mio buon Gennarino1, che la sera non si addormenta se prima non mi parla della sua famiglia e del suo paese, e di mille cose piacevoli, dopo le quali a un tratto prende un atteggiamento fanciullesco, si mette la mano sotto una guancia e s’addormenta: e la mattina prima di far giorno entrambi poggiamo una tavoletta sul letto suo o sul mio, e sovr’essa facciamo il caffè, che beviamo insieme.

Ieri sera mentre eravamo tutti coricati, e Gennarino mi narrava ciò che tante volte mi ha narrato, e che sempre mi par nuovo e mi dá nuovo dolore, il penoso viaggio che egli

  1. Gennaro Placco.