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88 | parte terza - capitolo xx | [374] |
addoloravano lui e mio padre. Io ne ho fatte molte pazzie giovanili, ed ora merito ciò che soffro».
E cosí affettuosamente parla di cose che io non potrei né saprei ridire.
O mio caro Gennarino, caro e sfortunato giovane, se molti ti udissero e ti conoscessero come ti ascolta e ti conosce l’amico tuo, molti ti amerebbero come io t’amo.
Fa cuore, o mio Gennarino, Dio certamente non vorrá che un sí bell’ingegno, sí bel cuore, sí schietta anima si perda nell’ergastolo.
Non si male nunc et olim sic erit. Non è senza un perché cotesta confidenza, cotesta lietezza che ti sta nell’animo; ed è certo presagio di un avvenire men reo!
Che se altrimenti è scritto di noi, se dovremo penar qui per lunghi anni, e forse qui morire, ti sia conforto l’affetto e la stima di un amico, il quale, essendo sventurato come te, non ti chiede altro se non che tu seguiti a riamarlo.