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86 parte terza - capitolo xx [372]


Spesse volte egli discorre meco della lingua e della poesia albanese, mi recita e mi spiega molte belle canzoni, alcune fatte da lui all’improvviso, e che la notte andava cantando per le vie del suo paese innanzi le case delle amate donne. Mi descrive le usanze, le cerimonie, i riti che usano nei funerali, nelle nozze, nella nascita dei figliuoli; mi narra come le donne credono ciecamente alle fatture e agli stregoni, e come egli, l’astuto seminarista, le dava a bere a quelle poverette certe sue trappolerie per carrucolarle ai suoi voleri, e mi vuol far credere che esse cadevano spaurite dalle sue baie, e non prese dai suoi occhi lucenti e dalla bella giovinezza che gli fioriva sul volto. Mi dipinge i suoi monti, il suo paese, la sua casa, la sua famiglia tutta quanta, il collegio di San Demetrio, i suoi studi, i suoi compagni, le sue follie, le sue audaci imprese d’amore: come la notte dalla finestra della sua stanza si calava per una fune e andava a cantare ed amoreggiare: come al tempo della mietitura egli andava in campagna per ischerzare con le spigoliste, e come si mescolava alla gioia delle fanciulle che spannocchiavano il gran turco. È usanza di queste fanciulle che quale trova una spiga rossa di gran turco deve dare un bacio a chi ella vuole, e poi rompe la spiga. Ora egli adoperava ogni arte per avere in mano una spiga rossa e dare un bacio a qualcuna; e la baciata, per non rimanere essa sola col bacio, cercava di trovare la spiga rossa e nascostamente la dava a lui, affinché ne baciasse un’altra; questa faceva lo stesso: tutte volevano che avesse egli la spiga in mano; e il baciatore era sempre egli. A questi racconti che ei mi fa con parole vive e palpitanti, con motti pittoreschi, con affetto crescente, con gesti animati agitando la mano mutilata che io sempre gli guardo, io mi sento rinfantocciare, mi pare che sono fuori l’ergastolo, e che con lui mi aggiro pei monti: mi tornano a mente i lieti giorni della mia fanciullezza, la casa mia, la famiglia mia: mi si ridestano tante memorie, tanti affetti.

E tal’altra volta mentre la sera i compagni o passeggiano, o dormono, o ciarlano a caso, io mi distendo tacito sulle tavole